LA DEPRESSIONE


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Paragrafi:

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

INCIDENZA, RANGE E RISCHIO

GLI ANTIDEPRESSIVI

TERAPIE ALTERNATIVE

CONSIGLI PER UNA CORRETTA TERAPIA

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

La salute mentale può essere definita come quello stato di piena efficienza delle facoltà intellettive che permette di svolgere un’attività produttiva, di stabilire rapporti interpersonali, di adattarsi ai cambiamenti e di fronteggiare le avversità. L’espressione malattia mentale si riferisce a tutti i disturbi psichiatrici noti o a condizioni cliniche caratterizzate da alterazioni dell’umore, del comportamento e del pensiero, associate ad angoscia e/o disturbi funzionali. Sebbene le conoscenze scientifiche sulle malattie mentali siano ancora piuttosto limitate, l’efficacia dei trattamenti specifici per queste patologie è ben documentata. 

Negli ultimi decenni la ricerca sul cervello e il comportamento è stata estremamente produttiva, sono stati messi a punto nuovi ed efficaci trattamenti e si è profondamente modificato l’atteggiamento della società nei confronti delle malattie psichiatriche. Si stima che attualmente da 6 a 10 milioni di italiani soffrono di depressione. Questa stima risulta così approssimativa perché in tanti casi l’individuo depresso non si rivolge al proprio medico curante o la depressione non viene diagnosticata come tale. Nei bambini e negli adolescenti la prevalenza della depressione viene stimata attorno al 5%. 

TABELLA 1 - I SEGNI E SINTOMI DELLA DEPRESSIONE

- Diminuito interesse/piacere per le normali attività quotidiane (anedonia)

- Sentimenti di tristezza, disperazione e impotenza

- Disturbi del sonno (ipersonnia o insonnia)

- Diminuita capacità di pensare o di concentrasi e/o difficoltà mnemoniche

- Aumento o perdita significativi del peso

- Irrequietezza, agitazione e/o irritabilità

- Eloquio lento con tono monotono

- Affaticamento costante

- Scarsa autostima

- Sentimenti di autosvalutazione e/o di colpa eccessivi

- Perdita di interesse/piacere nei confronti del sesso

- Pensieri persistenti di morte o suicidio

- Disturbi fisici

  (prurito generalizzato, offuscamento della vista, sudorazione eccessiva, secchezza delle fauci,

  indigestione, stipsi, diarrea, cefalea e mal di schiena)

Si tratta di una malattia mentale che condiziona negativamente le facoltà intellettive, l’umore, i sentimenti, i comportamenti e la salute fisica. A volte, gli episodi depressivi sono scatenati da eventi stressanti, ma in molti casi la depressione sembra insorgere spontaneamente, senza cause specifiche. In alcuni soggetti si manifesta una sola volta nella vita, ma sono molto più frequenti gli episodi depressivi ricorrenti. 

La depressione può presentarsi anche sotto forma cronica che richiede una terapia continuativa. La depressione è una malattia sistemica da tempo riconosciuta come fattore di rischio per l’insorgenza di patologie coronariche. I soggetti affetti da depressione maggiore hanno infatti un rischio quadruplo di morte cardiaca. La malattia si associa anche a un aumento di incidenza delle complicanze del diabete di tipo 1 e 2: inoltre, i sintomi della depressione tendono a diminuire sensibilmente l’efficacia della terapia insulinica (che torna ad essere pienamente efficace non appena scompaiono i sintomi depressivi). 

Gli studi suggeriscono che nei depressi il rischio di perdita di massa ossea aumenta del 10%-15% nel corso degli anni. Inoltre, la depressione si associa a un peggioramento delle condizioni dei pazienti affetti da neoplasie, malattia di Parkinson o Alzheimer. Le principali forme di depressione sono la depressione maggiore, la distimia, i disturbi bipolari, i disturbi affettivi stagionali (SAD, Seasonal Affective Disorder) e i disturbi dell’adattamento. 

La diagnosi si basa sull’analisi dei sintomi, secondo quanto descritto nella 4a edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (vedi Tabelle 1 e 2). La depressione maggiore è caratterizzata da alterazioni dell’umore che durano 2-3 settimane. La distimia è una forma depressiva meno grave che persiste per almeno 2 anni. I disturbi dell’adattamento insorgono in seguito a un lutto, alla perdita del lavoro, a una diagnosi di cancro o di altre malattie particolarmente gravi. In molti casi, le persone riescono a fronteggiare questi stress, ma a volte gli eventi stressanti possono scatenare forme più gravi e persistenti di depressione. Il disturbo bipolare è caratterizzato da episodi ricorrenti di depressione e di euforia (mania). I disturbi affettivi stagionali sono definiti come forme di depressione associate a cambiamenti climatici e/o alla mancanza di esposizione alla luce del sole. È importante ricordare che molti soggetti affetti da disturbi depressivi presentano anche sintomi di ansia. Questo articolo tratta principalmente le forme di depressione maggiore e di distimia sufficientemente gravi da richiedere un trattamento farmacologico. 

In genere, vi sono farmaci sicuri ed efficaci per tutte le forme di depressione, tanto che la maggior parte dei pazienti affetti da questa malattia ha buone probabilità di riprendere una vita normale. I bambini, gli adolescenti e gli adulti reagiscono in modo diverso alla depressione e alle terapie antidepressive: in ciascuna popolazione di pazienti la sintomatologia può assumere forme differenti o essere mascherata da altre condizioni cliniche, tanto che è spesso necessario individualizzare le terapie più di quanto si faccia in presenza di altri quadri clinici.


INCIDENZA, RANGE e RISCHIO

La depressione colpisce senza distinzione di età, sesso e condizione socioeconomica, affliggendo allo stesso modo uomini, donne, bianchi, neri, ricchi e poveri. Tuttavia, alcuni indicatori sono più comuni di altri. Per esempio, il primo episodio depressivo insorge soprattutto fra i 25 e i 44 anni. Sebbene gli adulti in età più avanzata non presentino una maggior propensione alla depressione, è anche vero che è più facile che la malattia non venga diagnosticata in questa fascia di età. L’incidenza della depressione è inferiore nelle coppie sposate e nei conviventi di lunga data, mentre aumenta tra i divorziati e i single. I ricercatori hanno identificato numerosi geni probabilmente coinvolti nel disturbo bipolare, mentre restano da chiarire i legami genetici della depressione.

 In effetti, non tutti i membri di una famiglia con storia clinica di depressione sviluppano la malattia. Quest’osservazione suggerisce una situazione fisiologica simile a quella di molte neoplasie: in altre parole, esisterebbe una predisposizione genetica, cioè una condizione di particolare suscettibilità ereditaria che deve associarsi ad alcuni fattori ambientali (stress, farmaci, malattie croniche, alimentazione, abuso di alcol o droghe) per scatenare un episodio depressivo. L’incidenza della depressione è doppia nel sesso femminile. Tra i numerosi fattori ormonali che contribuiscono ad aumentare l’incidenza della malattia nelle donne troviamo le variazioni del ciclo mestruale, l’aborto, la gravidanza, il periodo postparto, la menopausa, la condizione di genitore single e il fatto di doversi occupare di bambini o di genitori anziani. Sebbene la depressione sia meno frequente negli uomini, la percentuale di suicidi in questo sesso è quadrupla rispetto a quella che si registra tra le donne. L’incidenza dei suicidi aumenta negli uomini di età superiore a 70 anni e raggiunge il picco massimo dopo gli 85. 

La depressione tende ad influenzare la salute fisica in modo diverso a seconda del sesso. Uno studio recente indica che la mortalità aumenta solo tra gli uomini, nonostante la depressione si associ ad un incremento del rischio di coronaropatie in entrambi i sessi. Nel sesso maschile la depressione è spesso mascherata dall’abuso di alcol e droghe o da un carico eccessivo di lavoro. Nell’uomo prevalgono sentimenti quali irritabilità, rabbia e scoraggiamento, mentre sono meno frequenti quelli di impotenza e disperazione. Di conseguenza, la depressione è spesso difficile da diagnosticare nel sesso maschile, soprattutto perché gli studi dimostrano che gli uomini sono più riluttanti delle donne a rivolgersi al medico per chiedere aiuto. La depressione nella terza età causa grande sofferenza sia alla famiglia che al paziente. I sintomi depressivi descritti dall’anziano-tipo al medico curante sono prevalentemente di natura fisica. Le persone in età avanzata ammettono con riluttanza di provare sentimenti di disperazione, tristezza, perdita di interesse per le attività ricreative o dolore troppo prolungato dopo un lutto. 

I farmaci antidepressivi tendono a migliorare significativamente la qualità della vita di molti anziani a rischio di depressione a causa del processo di invecchiamento. La psicoterapia si è dimostrata molto efficace nei soggetti in età avanzata che non possono o non vogliono assumere medicinali. La depressione in età pediatrica ha cominciato a suscitare l’interesse degli specialisti solo negli ultimi due decenni. Il bambino depresso finge di essere malato, rifiuta di andare a scuola, si attacca morbosamente a un genitore o ne teme la morte improvvisa. I bambini più grandi sono spesso imbronciati, hanno problemi di condotta scolastica, si sentono incompresi, sono pessimisti e capricciosi. Considerando che il comportamento si modifica durante le varie fasi dell’infanzia, è spesso difficile stabilire se un bambino è veramente depresso o se sta solo attraversando un momento di difficoltà. 

Gli studi pongono l’enfasi soprattutto sulla definizione di parametri oggettivi per la terapia antidepressiva in età pediatrica. Se non viene curata, la depressione può portare a disabilità, perdita dell’autosufficienza e suicidio. Il 90% circa dei soggetti suicidi è affetto da una o più malattie psichiatriche, soprattutto da depressione. Il suicidio è particolarmente frequente negli adolescenti e negli anziani, due gruppi di età in cui si riscontra una percentuale insolitamente elevata di depressione.


GLI ANTIDEPRESSIVI

Negli ultimi decenni sono stati compiuti enormi progressi nella messa a punto di nuove ed efficaci farmacoterapie antidepressive. I farmaci antidepressivi vengono normalmente divisi in classi, a seconda delle loro caratteristiche farmacologiche e/o chimiche: tuttavia, a causa del crescente numero di nuovi meccanismi e strutture chimiche, in questo articolo si è deciso di suddividere questi principi attivi in quattro categorie base. Si tratta degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI, Selective Serotonin Reuptake Inhibitor), degli antidepressivi triciclici, degli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO, Monoa mirtazapimine Oxidase Inhibitor) e degli antidepressivi atipici.

Gli inibitori selettivi del reuptake della serotoninan(SSRI)

Dal 1988, anno della commercializzazione della fluoxetina, gli SSRI sono diventati il trattamento di prima scelta per la depressione, soprattutto perché non presentano effetti collaterali gravi. Queste molecole aumentano la disponibilità del neurotrasmettitore serotonina (5- idrossitriptamina, 5-HT) legandosi al trasportatore di 5-HT: di conseguenza, inibiscono il reuptake del neurotrasmettitore e ne aumentano l’attività a livello sinaptico. Alla classe farmacologica degli SSRI appartengono la fluoxetina, la fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina e il citalopram. A dosi cliniche, queste molecole hanno scarsi effetti sui trasportatori della noradrenalina e della dopamina, nonché bassa affinità per i recettori istaminici, muscarinici/colinergici e alfa. In genere, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina sono ben tollerati. Gli effetti collaterali più comuni sono cefalea, nervosismo, nausea, insonnia, affaticamento e disfunzioni sessuali. La maggior parte tende a scomparire dopo le prime settimane di trattamento.

Gli antidepressivi triciclici

Gli antidepressivi triciclici hanno rappresentato il trattamento di prima scelta per la depressione nel ventennio 1960-1980. Quasi tutti questi principi attivi agiscono su due neurotrasmettitori, la noradrenalina e la serotonina, inibendone la ricaptazione nelle sinapsi neuronali. Sebbene gli antidepressivi triciclici abbiano la stessa efficacia terapeutica degli SSRI e degli antidepressivi atipici, i loro effetti collaterali sono più seri, il che ne giustifica la scelta come trattamenti di seconda o terza linea. Alla classe farmacologica degli antidepressivi triciclici appartengono l’amitriptilina, la desipramina, la nortriptilina, la trimipramina, l’imipramina e la clomipramina. I loro effetti collaterali sono ritenzione urinaria, secchezza delle fauci, stipsi, offuscamento della vista, sedazione, aumento di peso e disfunzioni sessuali. Rispetto alle amine terziarie, quelle secondarie presentano meno effetti collaterali gravi perché hanno minor affinità di legame per i recettori muscarinici, istaminergici e adrenergici.

Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO)

Gli IMAO sono efficaci in alcuni casi di depressione maggiore che non rispondono in modo ottimale agli altri trattamenti antidepressivi. Gli IMAO non selettivi inibiscono in modo non specifico le MAO di tipo A e B, bloccando la degradazione della noradrenalina, della serotonina e della dopamina. Si pensa che quest’azione provochi un aumento di concentrazione dei neurotrasmettitori a livello delle sinapsi neuronali. Gli IMAO utilizzati per il trattamento della depressione sono la fenelzina, l’isocarboxazide (entrambe non in commercio in Italia) e la tranilcipromina, in Italia disponibile come preparato in associazione.

   

I pazienti in trattamento con questi farmaci devono essere attentamente monitorati a causa della gravità e della frequenza degli effetti collaterali e delle interazioni farmacologiche. Gli effetti indesiderati più comuni sono ipotensione ortostatica, sedazione, vertigini, insonnia, stipsi, tachicardia, edema periferico, disfunzioni sessuali e aumento di peso. Gli IMAO sono principi attivi cui si ricorre in ultima istanza, dato che le monoaminossidasi intervengono nel processo di metabolizzazione di alcune amine presenti in cibi, bevande e farmaci da banco, la cui associazione può produrre pericolose interazioni. I pazienti in terapia con gli IMAO devono seguire un regime alimentare controllato, in quanto i farmaci interagiscono con la tiramina, determinando un aumento della pressione arteriosa con il potenziale rischio di crisi ipertensive e conseguente ictus.

Gli antidepressivi atipici

Nuovi antidepressivi capaci di interagire con uno o più neurotrasmettitori (analogamente agli antidepressivi triciclici) sono stati commercializzati a partire dagli ultimi anni del secolo scorso. Tra questi il nefazodone (non in commercio in Italia), il trazodone, la mirtazapina, la venlafaxina (inibitori del reuptake della serotonina e della noradrenalina), il bupropione (inibitore del reuptake della noradrenalina e della dopamina) e la reboxetina (inibitore del reuptake della noradrenalina). Il metabolita del trazodone, m-clorofenilpiperazina (m-CPP), è anche un agonista postsinaptico della serotonina. La venlafaxina e il suo metabolita (O-demetilvenlafaxina) inibiscono il reuptake della serotonina e della noradrenalina, ma hanno scarsi effetti sulla dopamina. La mirtazapimine, un antagonista selettivo dei recettori presinaptici alfa-2 adrenergici, favorisce la trasmissione sia della noradrenalina, tramite il blocco degli autorecettori alfa-2, sia della serotonina, tramite l’inibizione dell’eterorecettore alfa-2. La reboxetina è un inibitore altamente selettivo del reuptake della noradrenalina. Ha soltanto un debole effetto sul reuptake della serotonina e non influenza l’uptake della dopamina. 

    

Sebbene agli antidepressivi atipici si attribuiscano molte qualità, non è provato che la loro efficacia, sicurezza e velocità di azione antidepressiva siano superiori a quelle degli SSRI. La sedazione è il principale effetto collaterale della triazolopiridina e della mirtazapina, mentre i pazienti in terapia con bupropione vanno attentamente monitorati perché il farmaco può provocare convulsioni a dosaggi elevati (e150 mg/dose o e450 mg/die). Il nefazodone e la venlafaxina inducono meno sedazione del trazodone o della mirtazapina, ma è necessario procedere ad incrementi progressivi del dosaggio per scongiurare l’insorgenza di cefalea, secchezza delle fauci, insonnia, stipsi, nervosismo, affaticamento e anoressia, effetti collaterali che sembrano essere dosedipendenti.

TABELLA 3 - I PIÙ COMUNI EFFETTI COLLATERALI ASSOCIATI ALLA FARMACOTERAPIA ANTIDEPRESSIVA

- Per gli antidepressivi triciclici:

Secchezza delle fauci

Stipsi

Problemi di svuotamento della vescica

Disfunzioni sessuali

Offuscamento temporaneo della vista

Vertigini

Sonnolenza diurna

- Per gli antidepressivi di nuova generazione:

Cefalea (generalmente temporanea)

Nausea (generalmente temporanea)

Nervosismo

Insonnia

Agitazione

Disfunzioni sessuali

  


TERAPIE ALTERNATIVE

È sconsigliabile ricorrere a prodotti con presunti effetti antidepressivi non soggetti a prescrizione medica, perché la loro efficacia e sicurezza restano da verificare. L’iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum), un rimedio molto utilizzato in Europa per il trattamento di forme lievi e moderate di depressione, ha suscitato l’interesse del pubblico americano a partire dagli ultimi anni del secolo scorso. I National Institutes of Health (NIH) hanno condotto una sperimentazione triennale, randomizzata, in doppio cieco per confrontare l’efficacia del rimedio fitoterapico con quella del placebo. 

  

Secondo quanto recentemente pubblicato sul Journal of the American Medical Association, l’erba di San Giovanni ha la stessa efficacia antidepressiva del placebo. La sostanza potenzia il metabolismo dei substrati dell’isoenzima CYP3A4, fra cui gli inibitori della proteasi indinavir e neviparina, i contraccettivi orali e gli antidepressivi triciclici come l’amitriptilina. In Europa, la S-adenosilmetionina (ademetionina) è considerata un antidepressivo da prescrizione, mentre negli Stati Uniti è in commercio come integratore alimentare da banco. La sostanza gioca un ruolo importante in molte funzioni organiche e pare aumenti i livelli di serotonina e dopamina. 

  

Studi europei suggeriscono che abbia la stessa efficacia degli antidepressivi tradizionali, ma con effetti collaterali più blandi. Il 5-idrossitriptofano (5-HTP) è un precursore biologico della serotonina, che in Europa viene prescritto per trattare la depressione ed altre condizioni cliniche, fra cui l’obesità e l’insonnia. Negli Stati Uniti è in vendita come integratore alimentare da banco. In teoria, aumentando i livelli organici di 5-HTP si incrementano anche quelli di serotonina. Negli anni ’80 molti pazienti hanno manifestato una grave forma di eritromialgia, in alcuni casi con danni neurologici permanenti, a seguito dell’ingestione di materiale proveniente da un “lotto danneggiato” di 5-idrossitriptofano. 

   

Uno studio recente effettuato su un ristretto numero di pazienti ha confrontato l’attività antidepressiva della sostanza con quella della fluvoxamina. I pazienti in terapia con 3 dosi giornaliere da 100 mg di 5-HTP lamentavano meno effetti collaterali e notavano miglioramenti più marcati rispetto a quelli che assumevano la fluvoxamina. Nonostante questi risultati, la sicurezza e l’efficacia del 5-idrossitriptofano potranno essere stabilite solo al completamento di studi controllati di più ampie dimensioni. Gli acidi grassi omega 3 sono stati studiati come stabilizzatori dell’umore in soggetti con depressione bipolare. Alcune sperimentazioni suggeriscono che questi oli diminuiscono i sintomi della depressione maggiore.

La psicoterapia

La psicoterapia si avvale di approcci a breve termine con obiettivi specifici per aiutare pazienti con problemi ben definiti. Nell’ultimo decennio, numerosi studi hanno dimostrato che la psicoterapia, un tempo poco accreditata, è un trattamento molto efficace, soprattutto se si associa a farmaci antidepressivi. Gli approcci psicoterapeutici più utilizzati per la depressione maggiore sono la psicoterapia interpersonale e la terapia cognitiva. La prima si occupa del legame tra la depressione del paziente e i rapporti interpersonali, spesso responsabili dell’episodio depressivo. Uno studio ha evidenziato che questo trattamento ha efficacia equivalente a quella dell’imipramina, mentre altre sperimentazioni hanno dimostrato la sua notevole validità profilattica.

  

 La terapia cognitiva si occupa delle disfunzioni cognitive associate alla depressione, quali l’eccessivo pessimismo e la prolungata tristezza dei pazienti, gli errori nel pensiero logico e nell’elaborazione delle informazioni, nonché degli atteggiamenti disfunzionali. Una meta-analisi piuttosto controversa suggerisce che la terapia cognitiva ha una percentuale di efficacia complessiva superiore al 45%, il 30% in più rispetto a quanto osservato in condizioni di controllo.

La terapia elettroconvulsiva

Sebbene il cinema hollywoodiano abbia contribuito a diffondere un’immagine sinistra della terapia elettroconvulsiva nell’immaginario collettivo, in realtà il trattamento è molto efficace nelle forme di depressione grave. La terapia utilizza una corrente elettrica che passa nel cervello per 1-3 secondi, provocando una convulsione controllata della durata di 20-90 secondi. Sebbene non si conosca il meccanismo preciso che permette il funzionamento di questo trattamento, la ricerca suggerisce che le convulsioni influiscono sui livelli dei neurotrasmettitori cerebrali in modo molto simile a quello dei farmaci antidepressivi. L’effetto collaterale più comune è la confusione, che può durare pochi minuti o diverse ore.


CONSIGLI PER UNA CORRETTA TERAPIA

Il trattamento iniziale consigliato per la maggior parte delle forme depressive è quello farmacologico, che in genere consta di tre fasi: la fase acuta, quella continuativa e la fase di mantenimento. Nella fase acuta, gli antidepressivi vengono somministrati come trattamento iniziale per le forme depressive lievi o gravi. La maggior parte degli antidepressivi si equivale in efficacia, tanto che i medici tendono a scegliere i farmaci basandosi sulla storia famigliare dei pazienti, sulla sintomatologia e sugli effetti collaterali di tipo farmacologico. Un soggetto con insonnia da depressione trae beneficio dalla somministrazione di antidepressivi con effetti sedativi, mentre nei pazienti iporeattivi si preferisce prescrivere farmaci ad azione stimolante. 

Gli antidepressivi tipicamente utilizzati in fase acuta sono gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina, la desipramina, la nortriptilina, il bupropione e la venlafaxina. Molti antidepressivi agiscono piuttosto lentamente e i loro effetti benefici si notano solo dopo 2-8 settimane. Gli SSRI e gli antidepressivi atipici di nuova generazione, con azione sulla noradrenalina e la dopamina, hanno meno effetti collaterali degli antidepressivi atipici e degli IMAO (vedi Tabella 3) e sono spesso prescritti in fase acuta. Le strategie terapeutiche prevedono un progressivo aumento del dosaggio fino al raggiungimento della posologia desiderata per la fase continuativa: in caso di risposta positiva al trattamento seguono 6-12 mesi di mantenimento per limitare il rischio di recidive. La maggior parte dei pazienti presenta però episodi depressivi ricorrenti, il cui trattamento è affidato a terapie di mantenimento a lungo termine o a vita. 

I farmaci antidepressivi non provocano assuefazione, ma è buona norma interrompere il trattamento diminuendo progressivamente la posologia per permettere all’organismo di adattarsi. In effetti, molti antidepressivi causano sintomi di astinenza in caso vengano sospesi troppo bruscamente. Numerosi farmaci da banco, l’alcol e le sostanze da abuso riducono l’efficacia degli antidepressivi e andrebbero evitati durante il trattamento.

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