STORIA DELLA FITOTERAPIA

L'utilizzo delle piante officinali dall'antichità ad oggi

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 - La Preistoria e l’Antichità.

  Il regno vegetale costituisce da sempre una fonte inesauribile di risorse dalle quali l’uomo, nel corso dei secoli, ha potuto attingere per soddisfare necessità di vario ordine in molteplici campi di applicazione: necessità che, dai primordi ai giorni nostri, sono divenute più numerose e variegate, e la cui importanza sempre più spesso non risulta strettamente attinente ai fini della sopravvivenza.   L’osservazione diretta degli avvenimenti fu il primo metodo con il quale l’umanità poté intuire quale potenza si celava in molti organismi vegetali. Erano già note agli uomini dell’età della pietra e del bronzo, seppur in modo superficiale, le virtù medicamentose di molte erbe; di ciò si ha conferma dai molteplici ritrovamenti di piante, frutti e semi medicinali avvenuti in diverse grotte, caverne e palafitte sparse in vari siti archeologici del pianeta.

  Il bisogno di nutrirsi rappresentò molto probabilmente la prima ragione che fece volgere lo sguardo dell’uomo primitivo verso gli organismi vegetali,  per poterli utilizzare direttamente come alimenti oppure usufruendone nella realizzazione di strumenti atti alla caccia delle prede animali. Altrettanto importanti furono le necessità di ripararsi dalle intemperie e, con la scoperta del fuoco, quella di riscaldarsi e di cuocere i cibi. Accostatosi dapprima alle piante per sopperire alle esigenze “primordiali”, l’uomo primitivo, grazie soprattutto alla sua straordinaria capacità di osservare ed intuire i fenomeni ai quali assisteva, nei secoli seppe trarre ingegnose deduzioni circa altre e diverse applicazioni attuabili con le piante.

  Una foglia di giusquiamo raccolta a caso e posta su di una ferita, esplicando localmente un’azione analgesica, fece probabilmente intuire all’uomo preistorico che quella particolare pianta doveva essere dotata di qualche virtù a lui sconosciuta e misteriosa; nondimeno la morte di un suo simile, causata dall’ingestione di bacche di belladonna, poté insegnare ai suoi spettatori quale pericolo, o quale virtù (se le stesse si utilizzavano per avvelenare le frecce), fossero nascoste in quest’altra specie vegetale. In mancanza di mezzi atti all’investigazione dei fenomeni naturali, gli uomini dell’era preistorica e dell’antichità, privi di risposte logiche e razionali, molto spesso attribuivano a questi fenomeni (ed agli effetti delle droghe ingerite) dei significati soprannaturali, caricando di valore simbolico, misterioso e sacro, molte delle droghe che erano soliti utilizzare; da ciò nacque il culto del divino e con esso una moltitudine di entità soprannaturali.

 

 

  Particolarmente ricche di queste entità divine, alle quali veniva attribuito ogni fenomeno che non poteva essere altrimenti spiegato e verso le quali rivolgersi nei momenti di bisogno e di malattia, furono le civiltà antiche degli egiziani, dei fenici, degli indiani, dei cinesi, dei greci e dei romani. Nel contesto di questi popoli alcune persone si distinsero dalle altre per la perizia che dimostrarono nel soccorrere i feriti e gli ammalati; questo grazie all’uso delle piante medicinali ed all’aiuto degli dèi che alcune di queste piante simboleggiavano. Tali personaggi storici, i primi medici-sacerdoti, vennero ammantati di valore soprannaturale e sacro, tanto da potergli consentire di ricoprire le cariche ecclesiastiche più importanti e, di conseguenza, ricevere l’adorazione delle folle. Venivano così “consacrate” l’origine della medicina e della fitoterapia; queste erano praticate nei templi ad esse dedicati che sorsero un po’ ovunque: a Birsa, presso Cartagine, venne eretto il tempio del dio fenicio Esmoun presso il quale accorrevano malati di ogni genere; ad Alessandria, in Egitto, sorsero templi-ricoveri in onore del dio della medicina Serapide; altri ancora, sparsi per tutta la Grecia ed il mar Egeo, dedicati ad Esculapio (egli fu dapprima medico-chirurgo e successivamente divenne divinità a furor di popolo).

 

 

  In quell’epoca, la conoscenza delle piante curative e dell’arte medica era di competenza delle caste religiose a capo dei collegi sacerdotali dei templi; pertanto, il sapere inerente alla dottrina medica del tempo veniva gelosamente custodito e tenuto segreto, così da poterne trarre in modo esclusivo utili ed onori. Fin dall’antichità (3000 a.c.) gli egiziani conobbero ed utilizzarono, sia in quello medico che in altri campi, molte delle piante che la natura, sulle fertili rive del Nilo, aveva donato loro; lino, fico, ricino, canapa ed aloe erano note a quei tempi, e molte altre giunsero in Egitto con il sorgere delle prime vie commerciali che da qui e dall’Asia Minore si spinsero fino in India. Oltre a moltissime sculture ed iscrizioni raffiguranti l’uso delle erbe mediche che gli egizi hanno lasciato nelle tombe, nei palazzi e nei templi, due sono i più importanti documenti scritti giunti fino ad oggi. Essi ci svelano la loro conoscenza della fitoterapia: il papiro di Ebers (1550 a.c.) ed il trattato di Imotep.

 

 

 In questi come in altri papiri, costituenti i primi trattati medico-terapeutici, troviamo iscritte moltissime specie vegetali come il lino, il cotone, l’assenzio, il melograno, il calamo, l’aloe, il ginepro, l’oppio, la mandragora, il giusquiamo, ed altre semplici preparazioni da queste derivate, come ad esempio gli oli di sesamo e di ricino, le resine di cedro, trementina, mirra, sicomoro e loto, usate, quest’ultime, a scopo conservativo (antimicrobico) nella pratica dell’imbalsamazione.

  E’ soprattutto ai fenici  che si deve attribuire il merito della  diffusione in occidente di moltissime droghe e spezie esotiche. Questo popolo, di probabile origine orientale, grazie all’eccezionale abilità nella navigazione ed alla notevole conoscenza delle specie vegetali, arricchì enormemente il patrimonio della dottrina fitoterapica del loro tempo.

 

  La fortunata dislocazione geografica del loro territorio e la varietà del clima che vi regna tuttora, permisero alla penisola indiana ed al suo popolo, fin nell’antichità, di esercitare un ruolo primario nella produzione e nella distribuzione di droghe, divenendo uno dei principali fornitori di erbe e spezie del mondo intero. Il più importante scritto antico di fitoterapia indiano è il SUSRUTA (1300 a.c.): in esso sono riportate nientedimeno che 798 droghe medicinali; ciò a conferma della grande conoscenza e della ricchezza che gli indiani avevano già in passato nel settore delle erbe medicinali e delle spezie. La medicina indiana (in sanscrito: Ayurveda), fin dai tempi più remoti ha impiegato, quali rimedi terapeutici, molte piante: lo zenzero, considerato una panacea per tutti i mali, l’elleboro nero, usato come purgante e come calmante, la radice della Rauwolfia serpentina, fonte del primo tranquillante-sedativo della storia (reserpina), la genziana come rinvigorente, ed altre ancora come la noce vomica, il cardamomo e la canapa. Oltre all’impiego dei vegetali, la pratica medico-braminica indiana prevedeva, per le terapie, anche l’ausilio dei metalli. E’ presso questo popolo che troviamo i primi accenni alla Signatura, teoria piuttosto empirica ripresa e sviluppata molto tempo dopo da Paracelso (1493-1541). Questa teoria sosteneva l’esistenza di varie analogie e correlazioni tra le forme, i colori ed i nomi delle diverse specie vegetali, con i corrispondenti caratteri cromatici e morfologici degli organi umani; corrispondenza che spesso assumeva sfumature puramente ideologiche ed addirittura fantasiose: la polmonaria curava i polmoni, le foglie bucherellate dell’erba di S. Giovanni guarivano dalle ferite di spada e così via.

  Anche in Cina, dove già nel 3000 a.c. vi era una civiltà di gran lunga superiore a quella di molti altri popoli, esisteva una dottrina medica fortemente legata alle teorie signaturali, in special modo legata al numero cinque, considerato numero perfetto. Anche in Cina era noto fin dall’antichità l’uso di molte erbe curative; il Pen ts’ao infatti, uno dei testi cinesi di fitoterapia più antico, descrive circa 360 droghe di uso corrente all’epoca tra le quali il ginseng, l’efedra, la liquirizia, il carciofo, il rabarbaro, lo zafferano, il colchico e l’edera.

 

  Spostando lo sguardo ad occidente, più precisamente in Grecia, i primi accenni all’uso medicinale delle piante li troviamo nei poemi di Omero. Successivamente non vi sono riscontri dell’esistenza di altri documenti certi fino alla nascita di Ippocrate (460-370 a.c.), personaggio tuttora riconosciuto come il padre della medicina moderna. La dottrina medica pre-ippocratica era radicalmente basata su concezioni religiose e filosofiche piuttosto empiriche e poco razionali, in contrasto con la teoria medica che le succedette. In questo periodo di passaggio si assiste alla nascita di nuovi personaggi nell’ambito della civiltà ellenica: i rizhotomi, individui dediti alla raccolta ed allo studio dei vegetali e delle loro proprietà; queste nuove nozioni venivano trascritte e tramandate attraverso i rizhotomica, testi ricchi di descrizioni botaniche e di illustrazioni molto accurate. Come accennato, in Grecia, le prime notizie certe di fitoterapia, le troviamo nei trattati di Ippocrate ed in misura minore negli scritti di Erodoto. Dei primi quello di maggior importanza é sicuramente il Corpus Hippocraticum (V secolo a.c.), che in parte fu opera dei suoi allievi; in questo manoscritto sono presenti diversi rimedi terapeutici e dietetici, molti dei quali di origine vegetale. Quasi nello stesso periodo vengono scritte in Grecia altre due grandi opere attinenti al contesto terapeutico dell’epoca: l’Historia Plantarum di Teofrasto Eresio (371-286 a.c.), allievo di Aristotele, e il De Materia Medica di Pedanio Dioscoride (I secolo d.c.); quest’ultimo raccoglie in cinque libri l’uso medicinale di oltre 500 droghe vegetali, classificate per attività terapeutica e divise in monografie riportanti sia le indicazioni terapeutiche e sia, cosa che potrebbe stupire, le possibili falsificazioni ed i metodi per scoprirle. Dioscoride fu definito, anche per questo, il “classificatore” della qualità delle piante e le sue opere rimasero un solido riferimento per tutti gli studiosi di questa materia fino al secolo XVI.

 

  Per concludere la parte dedicata all’antichità vanno considerati anche i nostri diretti antenati: i Romani. Essi non accrebbero in modo considerevole il numero delle piante conosciute ed utilizzate in terapia; seppero però dare un impulso decisamente positivo alla divulgazione ed al commercio delle stesse all’interno del loro sconfinato impero che, all’apice del suo splendore, riuniva in un’unica vasta entità politica parte dell’Oriente e dell’Occidente. Importante e degna di nota fu l’abilità, poi divulgatasi anche altrove, che questo popolo aveva nel predisporre orti e giardini unitamente alla progettazione ed alla costruzione delle abitazioni e soprattutto dei monasteri. Specialmente in questi ultimi, accanto alla coltivazione delle piante ornamentali ed alimentari non mancavano quasi mai anche le erbe curative. Presso questa antica civiltà, così come in molte altre, non esisteva ancora la figura del farmacista; i preparati a base di droghe vegetali erano allestiti direttamente dai medici, che svolgevano queste funzioni sulla base di ricette che venivano gelosamente tenute segrete. Presso i Romani, le prime notizie certe sull’utilizzo terapeutico dei vegetali le troviamo in alcuni scritti di Catone (III-II secolo a.c.); altri più importanti e recenti di questi furono senza dubbio le Compositiones Medicamentorum di Scribonio Largo, le opere di Galeno e l’Historia Naturalis di Plinio. Nella prima troviamo descritte circa 250 droghe, mentre l’opera di Plinio ne contempla più di 1000 con, anche qui, molti riferimenti al riconoscimento delle adulterazioni che venivano effettuate già all’epoca. Claudio Galeno (130-210 a.c.) studiò approfonditamente l’uso delle piante in terapia: fu lui ad introdurre il metodo sperimentale ed analitico e contribuì ad aumentare notevolmente il numero delle preparazioni che dalle erbe si potevano ricavare; preparazioni composte (polifarmacia) che ancora oggi portano il suo nome.

 - Il Medioevo.

  Con la caduta dell’Impero Romano si aprì un periodo storico segnato da continue guerre, invasioni e barbarie; queste certamente non aiutarono il progredire della scienza che, appena nata, riuscirà comunque presto a riprendere il suo inarrestabile percorso evolutivo. In quest’epoca di forza e brutalità il sapere intellettuale rimase a lungo confinato, specialmente nei monasteri; qui si praticavano la medicina e l’assistenza ai malati.

  Le grandi abbazie erano dotate di infermeria, farmacia, ed orto dei semplici (erbe medicinali): nasce così la medicina monastica (IX-XI secolo d.c.). In seguito, con il placarsi delle orde dei predoni che scorrazzavano per l’Europa e con la nascita delle Repubbliche Marinare in Italia,  si assistette ad una forte ripresa degli scambi commerciali con l’Oriente. Questa ripresa delle attività commerciali fece rinverdire la circolazione delle droghe e l’interesse per il loro studio ed utilizzo.

 

  Contemporaneamente, in tutta Europa, un nuovo impulso spinse gli intelletti verso la ripresa degli studi scientifici rimasti in sospeso nei secoli più bui di quest’epoca. Nascono la Scuola medica Salernitana (X-XIII secolo d.c.) e le Università, centri culturali dove si costruirono le basi per il successivo sviluppo razionale del progresso scientifico. E’ in questo contesto che nasce anche la figura dello speziale, che, esperto di fitoterapia e conoscitore delle droghe, andrà ad affiancare il medico nella cura delle malattie.

  Importantissimo fu l’apporto intellettuale che per tutto il Medioevo provenne in Occidente dal popolo arabo: al centro delle più trafficate vie commerciali del tempo, gli arabi, ereditata la cultura medica greco-romana, seppero fonderla con quella orientale, dando vita alla medicina araba, diffusasi in seguito in tutta Europa ed il cui influsso é presente ancora oggi. Tra i medici fautori di questa dottrina vanno ricordati Avicenna, Serapione, Isacco Giudeo e Mesue il giovane. Gli arabi introdussero l’uso in terapia della noce moscata, del muschio, della cannella, della canfora e della senna. Con il progredire della medicina araba aumentò notevolmente il numero e la varietà delle preparazioni vegetali e degli estratti terapeutici; in questo periodo si resero necessarie sia la predisposizione di locali atti alle lavorazioni delle piante fresche che l’individuazione di personale preparato per la loro lavorazione e trasformazione in medicamenti; nacquero un po’ ovunque le prime farmacie.

 

  In Europa sorse la Scuola Medica Salernitana, prima Università d’Europa (con Parigi), che continuò le sue attività per secoli, durante i quali si distinse per il rigore scientifico che dimostrò nel rielaborare diverse dottrine mediche del passato; aborrendo ogni credenza e superstizione che non avesse riscontro scientifico, la Scuola Salernitana, sulle basi delle dottrine galenica ed ippocratica, riuscì a discernere molto efficacemente quello che in esse vi era di razionale da ciò che invece era fondato sull’empirismo. In questo contesto iniziò la frenetica ricerca della quinta essenza, la sostanza attiva responsabile degli effetti generati dalle droghe vegetali; questa attività rimase molto a lungo senza esiti ed è solo dopo il 1800 che alcuni studiosi riuscirono a raggiungere questa meta tanto ambita. Le opere più insigni che ci giungono da questa Università del passato sono l’Antidotarium di Nicolao Preposito e le oltre 250 edizioni del Regimen Sanitatis.

  Le Repubbliche Marinare giocarono un ruolo fondamentale per la ripresa degli scambi commerciali. Esse riuscirono infatti a riaprire le rotte verso l’oriente, sottraendo in parte l’egemonia navale degli arabi sul Mediterraneo. Venezia divenne presto il centro dei commerci con l’oriente e visse un periodo di particolare ricchezza; qui nacquero anche le prime industrie chimiche, farmaceutiche e,  molto rinomate ancora oggi, quelle vetrarie. Da Venezia partì Marco Polo per la sua lunga esplorazione dell’oriente; fu il primo europeo a vedere direttamente (e descrivere) molte delle erbe esotiche che già da tempo arrivavano in Europa, come il rabarbaro e lo zenzero. La caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi, la scoperta dell’America e delle vie alternative che portavano in Oriente segnarono il principio di un lento declino per Venezia. Ci fu, per questo, un graduale spostamento del baricentro economico-commerciale dell’epoca verso occidente, verso quei paesi che si affacciano sull’Oceano Atlantico; conseguentemente, fino all’apertura del canale di Suez, il Mediterraneo rimase per lungo tempo tagliato fuori dai commerci mondiali.

  - I tempi moderni.

  Con la scoperta del continente americano inizia il periodo (XV-XVI sec. d.c.) delle esplorazioni scientifiche delle nuove terre. Ricche di innumerevoli nuove specie vegetali esse rappresentarono per gli europei la fonte di una di un rinato interesse per lo studio e l’approfondimento della botanica e della fitoterapia; quest’ultima era divenuta da tempo stagnante, ferma sulle cognizioni della dottrina galenica ormai rivista e ripetuta fin troppo a lungo. Questo impulso vivificatore scosse gli intelletti europei; questi si prodigarono nel classificare le nuove droghe, sia dal punto di vista botanico che terapeutico, accumulando nel tempo un’enorme mole di materiale scientifico; questo costituirà, con quello già prodotto in passato, la base sulla quale nasceranno più tardi la Farmacobotanica e la Farmacochimica, precursori delle moderne Farmacognosia e Chimica farmaceutica.

  In molte Università furono allestiti degli orti botanici (orti dei semplici), tradizione ereditata dai monaci romani; in questi luoghi si poterono coltivare tutte le specie interessate, quelle già presenti e quelle di nuova introduzione, così da fornire di materiale vegetale fresco gli scienziati che dovevano studiarle. Nel corso di questi anni, oltre alle numerose nuove specie giunte dal nuovo continente, furono rivalutate e vennero introdotte in terapia molte delle piante (droghe eroiche) che erano state accantonate in passato, perché considerate, prima di allora, troppo pericolose per l’impiego in terapia.

  Il progredire della tecnologia a disposizione degli studiosi e della conoscenza sui farmaci vegetali, resero possibile l’utilizzo medicinale di queste particolari e potenti specie, tra le quali troviamo l’aconito, la digitale, la felce maschio, la segale cornuta, il colchico, la belladonna, il giusquiamo ed altre cadute in disuso per la loro elevata potenza farmacologica, troppo grande in relazione alle capacità di impiego dimostrate fino ad allora dai medici.

 

 

 

  Dal XVI secolo le pubblicazioni scientifiche si moltiplicarono e moltissimi furono gli studiosi illustri, pionieri della scienza moderna, che emersero per il contributo apportato al progresso scientifico; in ambito fitoterapeutico e farmacognostico fra gli altri vanno ricordati Garcia da Orta, Brunfeld, Boch e Fucks, Corrado Gesner, il Tabernamontano e Pier Andrea Mattioli. In ambito chimico spiccò un nome al di sopra degli altri, quello di Teofrasto Bombasto detto Paracelso (1493-1541 d.c.). Scienziato e professore di medicina a Basilea, sua città natale, Paracelso, fin dalle prime lezioni di medicina proclamò ai suoi allievi che era ormai giunto il tempo di abbandonare la tradizione medica medioevale ed araba. Secondo lui la moderna chimica avrebbe dovuto essere sorella della medicina, alla quale, questa, avrebbe dovuto fornire i farmaci. Nella ricerca della sostanza attiva in forma pura, Paracelso continuò la ricerca della quinta essenza ed approfondì le procedure estrattive atte ad ottenerla, come le distillazioni per via umida e per via secca e l’estrazione con solventi. Non raggiunse mai il suo obiettivo ma ampliò ulteriormente il panorama delle preparazioni vegetali del tempo, che ottenne in alternativa alla tanto agognata “quinta essentia”; Paracelso infatti utilizzò estesamente molti derivati estrattivi, come i decotti, gli infusi, le tinture e le essenze. Durante l’epoca di passaggio dalla tradizione medica medioevale alla medicina moderna, nonostante sia ormai avviato il rigore del metodo analitico nella produzione scientifica, sussistono ancora grossolane contraddizioni come, per citarne una, il perdurare della Signatura, credenza molto cara anche a Paracelso.

 

 

 

  Il rapido sviluppo scientifico, le importanti scoperte tecnologiche, fra le quali l’energia elettrica, il miglioramento di tutte le tecniche estrattive e l’affermazione della chimica pura che si ebbero dal XVI al XVIII secolo sfociarono, nel 1803, nel raggiungimento del traguardo perseguito per secoli dagli scienziati di mezzo mondo:  l’ottenimento del primo principio attivo in forma pura. È questo l’anno nel quale Sertűrner (1783–1841 d.c.), un farmacista tedesco, isolò la morfina dall’oppio. Successivamente dalle piante medicinali vennero isolati allo stato puro molti altri principi attivi; sull’onda di questo entusiasmo “iatrochimico”, tendente all’esaltazione delle qualità delle molecole in forma pura, si assistette ad una progressiva riduzione dell’impiego in terapia delle piante tali e quali (in forma di droga) e dei loro semplici derivati estrattivi. Iniziò a partire da questa data, e continuerà fino al 1980 circa, la tendenza che vedrà progressivamente decrescere il numero e la varietà terapeutica delle preparazioni farmaceutiche contenenti droghe vegetali, le quali, in questo periodo di tempo, verranno per lo più utilizzate come materiale di partenza per l’ottenimento delle molecole pure.Questo orientamento si farà ancora più marcato quando, dai progressi della chimica farmaceutica, grazie anche all’evoluzione della chimica organica sintetica, si otterranno in laboratorio, mediante sintesi organiche, le stesse molecole attive presenti in natura. L’ausilio delle sintesi costituì per le industrie farmaceutiche una formidabile opportunità per l’apertura di nuovi orizzonti di ricerca, con la possibilità di raggiungere numerosissimi obiettivi terapeutici, soprattutto riguardo a patologie gravi, infettive e, potenzialmente, a tutte quelle fino ad allora prive di cure.

 

  L’ottenimento di molecole attive pure in grande quantità, le difficoltà che caratterizzano la produzione di medicinali a base vegetale (coltivazione, raccolta, stoccaggio e conservazione, reperibilità, variabilità e standardizzazione, inquinanti, falsificazioni, ecc…) e la possibilità di brevetto dei farmaci sintetici (in contrapposizione ai rimedi vegetali che non sono brevettabili) con la conseguente fruizione degli ingenti ricavi connessi, rappresentarono i principali motivi di questo andamento negativo. Consultando un’indagine effettuata nel biennio 1987/1988, questa conferma, viene ribadita dall’analisi del numero delle specialità medicinali (contenenti esclusivamente componenti attivi vegetali)  registrate in Italia dal 1958 al 1987 (fig. 1). Dal grafico si denota un netto decremento della produzione industriale, e della disponibilità commerciale, di questi prodotti, decremento che nel nostro paese viene registrato fino al 1980.

 

Figura 1 - Specialità medicinali a base interamente vegetale registrate in Italia dal 1958 al 1987.

 

  Inoltre, dalla fine degli anni settanta ad oggi, si é avuta un’inversione di quella tendenza che sembrava voler gradatamente porre fine all’utilizzo dei vegetali in terapia a scapito dei farmaci sintetici, più attivi e pronti nell’azione farmacologica. In questi ultimi venticinque anni si è assistito ad una rivalutazione dei farmaci naturali, tendente alla valorizzazione delle loro qualità terapeutiche. Essi hanno dimostrato di possedere un migliore profilo tossicologico ed una relativa innocuità in paragone ai potenti farmaci sintetici, sia nella cura delle patologie di modesta entità che in quelle croniche non gravi; queste ultime, soventemente, vengono trattate con l’utilizzo di farmaci di origine sintetica molto aggressivi e non certo privi di molteplici effetti collaterali, specialmente quando la somministrazione avviene in maniera protratta. Ad esempio, recentemente sono state sperimentate con esiti favorevoli alcune terapie a base di iperico, intraprese in alcuni casi di depressione di lieve entità che altrimenti avrebbero dovuto contemplare l’uso dei moderni antidepressivi, decisamente smisurati in molti casi di gravità minore.

In ambito fitoterapico sono sempre più numerose le pubblicazioni scientifiche concernenti l’impiego dei farmaci naturali. Il rinnovato interesse per questo settore, dimostrato sia dai medici che  dai pazienti, ha recentemente convinto le autorità sanitarie di tutto il mondo, attraverso l’OMS, ad affrontare la questione delle piante terapeutiche. Questa iniziativa si esplicherà nel tempo selezionando le droghe comprovatamente attive, regolamentando adeguatamente il settore normativo e promuovendone la reintroduzione in terapia su basi sempre più scientifiche.

  In riferimento alla regolamentazione del settore, le attività che finora sono state intraprese, tendono principalmente alla redazione di monografie sulle droghe vegetali, con la loro conseguente integrazione nei supplementi, o nelle nuove edizioni, delle Farmacopee mondiali. Non a caso, nel 1991, in virtù del rinnovato interesse verso i rimedi a base vegetale che investiva il settore sanitario, in Italia, il Ministero della Sanità ha ritenuto opportuno pubblicare un supplemento alla F.U.I. allora in vigore (IX^ed.) comprendente 101 monografie interamente dedicate alle droghe vegetali che ritroviamo pubblicate anche nella F.U.I. X. La F.U.I. XI, tuttora in vigore, ne prevede invece solo 28; questo per evitare ridondanze con la Farmacopea europea, anch’essa in vigore nel nostro Paese che, sempre più ricca di queste schede tecniche sulle droghe, comprende quelle non più presenti nell’undicesima edizione italiana. Di recente, in ambito europeo sono nate delle commissioni istituite dai Ministeri della Sanità di vari stati (come la commissione E in Germania), composte da esperti in materia ed aventi come obiettivi la promozione della ricerca sulle droghe vegetali e la standardizzazione del settore.

  Un’altra organizzazione, composta da esperti provenienti da diversi stati europei, è l’ESCOP, la cui commissione, stilando le relative monografie, ha il compito di fornire informazioni scientifiche sulle piante medicinali e di armonizzare a livello europeo la situazione legislativa del settore; così da definire con esattezza i caratteri di qualità, efficacia e sicurezza delle materie prime utilizzate nell’allestimento delle specialità, e delle preparazioni, medicinali contenenti droghe. Caratteri, questi, già largamente definiti e consolidati per i principi attivi di sintesi, e divenuti ormai imprescindibili in tutto il settore sanitario, in special modo in quello farmaceutico.

 

- Il mercato attuale.

  Negli ultimi venti anni il settore sanitario di una larga parte di tutti i paesi del mondo, in particolare di quelli considerati “occidentali”, ha visto sempre più concreta l’affermazione di una notevole varietà di terapie diverse da quelle cosiddette “convenzionali”, già consolidate e praticate da tempo in questi paesi. La medicina “tradizionale” (TM – Traditional Medicine), così come viene definita in America latina, Africa, nel sud-est asiatico ed in tutta l’area del Pacifico occidentale, e la medicina alternativa o complementare (CAM – Complementary and Alternative Medicine), definizione utilizzata invece in Europa, Nord-America ed Australia, sono i termini universalmente riconosciuti per definire la totalità di queste pratiche sanitarie. Nel complesso si tratta per lo più di metodiche terapeutiche fondate su dottrine di prevalente derivazione orientale (Asia sud-orientale) ed africana che sono state oggetto di una recente loro valorizzazione da parte dei sistemi sanitari di molti paesi “occidentali”. I loro principali fondamenti dottrinali sono la medicina tradizionale cinese, l’Ayurveda indiana, quella “Unani” araba ed altre medicine indigene minori come le molte di origine africana. Le TM o CAM prevedono in misura predominante il ricorso ai farmaci naturali, quali i rimedi a base di erbe o quelli contenenti minerali o parti di animali, e di terapie non farmacologiche, tra le quali l’agopuntura, molteplici varietà di massaggi ed altre tecniche ad impronta psico-spirituale.

  Nel contesto attuale, queste, vengono ancora oggi ampiamente utilizzate in molti paesi sottosviluppati od in via di sviluppo e stanno acquisendo un’importanza sempre maggiore in quelli industrializzati e post-industriali. La Fitoterapia, che teorizza l’utilizzo dei medicinali di origine vegetale per la cura delle malattie, così come l’Omeopatia, tra le diverse metodiche terapeutiche non convenzionali, rappresentano i settori che in quest’ultimo ventennio,  nei paesi industrializzati, hanno conosciuto l’espansione maggiore. Oggi si stima che circa il 25% dei medicinali moderni deriva direttamente o indirettamente dalle piante, percentuale che sale al 60% nel caso di particolari categorie farmaco-terapeutiche, come quella dei farmaci antitumorali.

  L’industria farmaceutica ha recentemente dimostrato un rinnovato interesse verso lo studio delle piante officinali, sia come sorgente per l’isolamento di nuove molecole, sia per lo sviluppo di farmaci fitoterapici (fitocomplessi) standardizzati, rispondenti ai criteri di efficacia, qualità e sicurezza propri dei medicinali di sintesi. Nei paesi in via di sviluppo, così come in quelli meno sviluppati, l’utilizzo dei preparati naturali era già presente da secoli e, non avendo mai subito flessioni, rappresenta attualmente il principale sistema di cura; basti pensare che secondo un bollettino dell’O.M.S. del 2001(8), l’80% della popolazione africana dipende, quale unica fonte di guarigione, dai medicinali a base di erbe. In Cina, paese con un’antichissima tradizione fitoterapica, l’O.M.S. riferisce che sulla totalità delle terapie praticate, oltre il 40% è rappresentato dall’uso delle erbe. La crescita più evidente è tuttavia quella che da qualche decennio interessa i paesi post-industriali, paesi che nel recente passato hanno trascurato l’utilizzo dei rimedi naturali a favore del più promettente settore dei medicinali sintetici.

  Una recente indagine statistica ha evidenziato che in Germania l’utilizzo dei rimedi a base di erbe, dal 1970 al 2002, ha subito un incremento del 40%. Negli Stati Uniti l’inclinazione dei medici e dei pazienti verso la medicina alternativa è incrementato del 380% dal 1990 al 1997; nello stesso Paese, solo nel biennio 1996-1998, si è registrato un incremento del 101% nelle vendite dei prodotti denominati “Herbal Remedies”, termine generico indicante farmaci e prodotti salutari a base vegetale. Le statistiche riguardanti il valore dell’intero settore mondiale delle piante medicinali riportano cifre impressionanti ed in rapida ascesa; l’ O.M.S. dichiara che il ricavato mondiale delle vendite di preparati a base di erbe  nel 2001 è stato di 43 miliardi di dollari ed ha stimato che nel 2003 questa cifra, con buona approssimazione, ha sfiorato la quota dei 60 miliardi. Alla base di questa vertiginosa “escalation” di consensi, della quale ha beneficiato l’intero settore fitoterapico, si possono ipotizzare le seguenti cause:

  • l’apparente assenza di effetti collaterali dei farmaci naturali a base di erbe, idea questa, suffragata soprattutto dal loro consolidato uso millenario;

  • la recente tendenza alla riscoperta delle terapie alternative (in particolare quelle orientali) che, paragonate al moderno approccio chimico, vengono considerate più armoniche con la dimensione spirituale e più mirate al mantenimento di un equilibrio psicofisico della persona;

  •  la crescita di importanza e di conoscenza della medicina preventiva;

  • l’aumento della tendenza all’automedicazione;

  • il miglioramento qualitativo dei farmaci naturali ed il loro minor costo rispetto a quelli sintetici;

  • la considerazione, condivisa da molti, che per alcune malattie di modesta gravità soggette a lungo decorso e trattamento, siano, qualora possibile, preferibili i rimedi naturali, generalmente meglio tollerati nelle terapie croniche.


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